Premettiamo che gli allevamenti intensivi attuali sono delle vere e proprie industrie della carne, costituite da molti capannoni di dimensioni molto grandi e che contengono milioni di polli all’anno. Per la maggior parte dei casi, ai fini edilizi, utilizzano le cubature di precedenti e fatiscenti allevamenti dismessi ormai da decine di anni.

La vicinanza a queste strutture  crea molti problemi ai residenti.

 

Il più facile da avvertire è la puzza.

 

Si avverte principalmente nel periodo estivo e quando l’allevamento ha il massimo peso vivo di polli all’interno, cioè quando i polli sono vicini al peso massimo.

 

Si tratta di una puzza a tratti molto forte e pungente, caratterizzata dall’ammoniaca proveniente dagli escrementi dei polli, che molto spesso non permette di soggiornare all’aperto e di tenere le finestre aperte.

Connessi alla puzza, ci sono gli effetti indotti dalla immissione in atmosfera dell’ammoniaca che provoca degli effetti diretti come arrossamento degli occhi e mal di gola quando raggiunge concentrazioni importanti oppure effetti indiretti contribuendo alla creazione del particolato PM2,5 che è invece dannosissimo per i polmoni e per il cuore.

 

allevamenti intensivi hanno un forte impatto in primo luogo per il fortissimo fabbisogno di acqua che hanno. Un pollo consuma in media circa 11 litri di acqua a cui si devono aggiungere le quantità d’acqua utilizzate per il raffreddamento e per il lavaggio degli impianti.

Il Comitato per la Vallesina che ha lottato in questi anni contro uno di questi allevamenti vincendo il ricorso al consiglio di stato, ad esempio ha  stimato che nel comune di Monte Roberto il consumo di acqua sarebbe stato pari a circa 50 milioni di litri all’anno che gravano sulle risorse idriche già scarse nella zona. 

Altri effetti sull’ambiente sono l’acidificazione delle terre circostanti all’allevamento nel lungo tempo a causa dell’ammoniaca [rilasciata dalle deiezioni degli animali, ndr] e l’eutrofizzazione delle acque, che consiste nell’aumento incontrollato di sostanze nutrienti all’interno dell’acqua a causa dello scarico dei reflui contaminati dalle deiezioni dei polli allevati.

Abbiamo stimato che il fenomeno dell’acidificazione nel caso di Monte Roberto interessi una zona di 2,5 chilometri di raggio.

Rimane difficile comprendere come la Sovrintendenza abbia – in precedenza- potuto autorizzare un’opera di 25 mila metri quadrati composta da otto capannoni nel mezzo di una zona con vocazione agricola, in una Regione che ha dichiarato di voler incentivare il turismo e l’enogastronomia, entrambe legate alla bellezza del paesaggio.

La struttura ha un impatto molto forte visivamente, anche considerando che le piantumazioni di alberi imposte dagli Enti che hanno autorizzato l’attività, che sembravano foreste nei rendering consegnati alla Regione Marche, sono nella realtà alberelli (alcuni di 20 centimetri di altezza) che poco nascondono di quanto è stato costruito.

  Fonte: AnimalEquality  


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