Ormai anche gli scienziati più accorti fanno capire che il genere umano se continuerà in questo folle sfruttamento del pianeta Terra, rischia una estinzione entro la fine del secolo

Gea infatti non regge più’ il nostro ritmo di consumo, spinto dall’ideologia capitalistica della ‘’ crescita’’:
come se non fosse lampante che una crescita ‘’infinita’’ non e’ banalmente possibile in un pianeta ‘’finito’’ ( cioè con un limite intrinseco al fatto che non e’illimitato e che non ne conosciamo altri simili entro un paio di migliaia di anni luce……)come Gea .

Ma la domanda e’:

l’estinzione della razza umana coinciderebbe con la fine di Gea.?

Probabilmente no.

Certo con 5 gradi o più nel 2100 il pianeta cambierebbe tantissimo e con lui le specie che lo abiteranno .

Ma il disastro nucleare di Chernobyl ci aiuta a capire come la capacita di adattamento di Gea , anche ai disastri ecologici più terribili, sia molto alta e sorprendente .

A Chernobyl oggi, a piu di 30 anni dall’esplosione e fusione del nucleo della centrale nucleare, la vita umana non e’ possibile.

Ma la vita di Gea li’ invece ha trovato gia altre soluzioni .

Gli scienziati dal 1991 hanno notato qualcosa di strano gia’ per quanto riguarda gli alberi, in particolare quello che hanno descritto come “un significativo accumulo di rifiuti nel corso del tempo” in uno studio pubblicato di recente su Oecologia.

E per “significativa” intendono dire che gli alberi morti non si decompongono, così come accade per le loro foglie, che restano al suolo senza segni di marcescenza.

Il fenomeno è particolarmente pronunciato nella Foresta Rossa, una zona boschiva vicino a Chernobyl che deve il proprio nome al fatto che gli alberi hanno assunto un colore zenzero e sono morti a causa dell’avvelenamento da radiazioni nella zona.

In un’intervista con lo Smithsonian magazine, l’autore principale dello studio e biologo presso l’University of South Carolina Timothy Mousseau ha definito il mancato decadimento della materia organica “sorprendente, dato che nelle foreste dove vivo di un albero caduto resta poco più che segatura dopo un decennio riverso a terra.”

La ragione del mancato decadimento organico intorno a Chernobyl è dovuto al fatto che microbi, batteri, funghi, vermi, insetti e altri organismi viventi conosciuti come decompositori non sono lì per fare il loro lavoro.

Mousseau e il suo gruppo lo hanno scoperto dopo aver lasciato 600 sacchi di foglie intorno a Chernobyl nel 2007.

Quando hanno raccolto le borse nel 2008, hanno scoperto che nei sacchi posizionati in zone senza radiazioni le foglie erano state decomposte dal 70 al 90 percento, mentre per quelle nelle aree radioattive le cose erano totalmente diverse.

Erano decomposte solo al 40 percento

La mancanza di decompositori potrebbe anche spiegare perché gli alberi che sono sopravvissuti intorno a Chernobyl stanno crescendo molto lentamente.

Queste piante coprono circa 1700 chilometri quadrati della zona di alienazione intorno a Chernobyl e hanno assorbito radionuclidi come lo stronzio-90 (provoca il cancro delle ossa) e il cesio-137 (provoca effetti che vanno dalla nausea alla morte) per quasi tre decenni.

Se questi alberi venissero bruciati, i radionuclidi sarebbero rilasciati in atmosfera come “aerosol inalabili” ha riferito Scientific American lo scorso anno, citando uno studio del 2011.
Oltre a inalare particelle cancerogene che viaggiano nell’aria fino a centinaia di chilometri di distanza, la più grande minaccia riguarderebbe gli alimenti, come latte e carne, “prodotti fino a 145 chilometri dall’incendio.
Pero’ quegli alberi si sono adattati e vivono.
Gli uomini invece morirebbero di cancro in pochi mesi.

Ma nella cosiddetta Zona di esclusione di Chernobyl, che copre l’area dentro un raggio di circa 30 chilometri dalla centrale nucleare, approssimativamente 2.600 km quadrati, c’e’ ben altro…
A mostrarlo è un gruppo di ricercatori dell’Università della Georgia ad Athens, negli Stati Uniti, che conferma i risultati di un loro precedente studio e aggiunge la presenza di nuove specie, finora non rintracciate in questa zona.

Gli scienziati hanno fotografato 10 specie di mammiferi e 5 di uccelli. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Food Webs.
Tutte le specie fotografate sono 15 specie, 10 di mammiferi e 5 di uccelli:
tre specie di topo, donnola, visone americano, lontra europea, martora eurasiatica, cane procione, volpe rossa, lupo grigio, uccello ghiandaia, gazza europea, corvo imperiale, allocco, aquila di mare coda bianca.
E recentemente sono apparsi anche cervi e l’orso.

In totale, gli autori hanno registrato più di 232 osservazioni di questi animali durante il mese dell’indagine.

Ma anche un altra iniziativa di ricerca che ha permesso di installare delle telecamere all’interno della zona interdetta
ha avuto modo di monitorare per anni le attività degli animali.

Si è così scoperto che questi ultimi, anziché soccombere, sono stati in grado diadattarsi in maniera più o meno efficace.

Ad esempio le rane sono diventate più scure, mentre i parassiti sono riusciti ad attaccare più efficacemente gli insetti, che dal loro canto si sono dimostrati meno longevi e resistenti,come abbiamo visto scrivendo degli alberi .

Anche alcune specie di volatili hanno sviluppato più alti livelli di albinismo, ma tutto sommato si deve concludere che le conseguenze delle radiazioni non hanno causato l’apocalisse che in tanti si prefiguravano.

In altre parole non si sono riscontrati danni tali da compromettere la sopravvivenza della fauna selvatica.

Concludendo potremmo quindi affermare che ciò che uccide Noi ( genere umano) non necessariamente lo farà con la vita di Gea.
Che adattandosi sopravviverà a noi e in qualche secolo probabilmente si rigenererà .

Senza di noi.

RB


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